Introduzione
E’ ormai sempre più evidente che il cinema sia stato in gran parte soppiantato da altre forme di rappresentazione, in particolar modo dai videogiochi. Come ho scritto Matteo Bittanti: “Oggi le vendite complessive hanno superato quota 8 milioni. La straordinaria performance di Halo è stata celebrata come l’ennesima vittoria del videogame sul cinema. Si parla infatti spesso di sorpasso del primo sul secondo. Se con questo termine ci si riferisce esclusivamente alla forza commerciale dell’industria videoludica, è noto che da almeno una decade i fatturati complessivi del divertimento elettronico hanno superato quelli del box office hollywoodiano”1.
Si capisce quindi che il videogioco sta influenzando profondamente la società e il suo immaginario, influenza che continuerà sicuramente a crescere, nonostante l’indifferenza di molti studiosi.
Sembrerebbe dunque che il cinema, come sostiene Serge Daney, è “sempre più debole nella realtà materiale, sempre più forte nell’immaginario”2. Questo è il dato significativo: “la forza dell’immaginario”. Il cinema è il medium che ha formato l’immaginario del Novecento, l’occhio tecnologico che con il suo linguaggio ha plasmato il modello della visione su scala mondiale. E’ naturale quindi che i nuovi linguaggi dei media siano stati profondamente influenzati dal cinema. D’altronde anch’esso è stato influenzato dai linguaggi di media precedenti (non è un caso che nelle sue infinite possibilità si sia sviluppato prevalentemente su un piano teatrale-narrativo), e viene a sua volta influenzato dai medium venuti dopo di esso. Si può dire banalizzando che ogni medium nato da delle domande collettive viene agito e agisce sulla società, innestando altre domande che contribuiranno a creare un altro medium, il quale riprenderà le forme del medium precedente plasmandole attraverso il suo linguaggio che influenzerà la società e a sua volta agirà sullo stesso medium precedente. E’ per questo che non è così assurdo pensare che i videogiochi abbiano ripreso e riproposto lo stile del cinema, scrive Lev Manovich nel suo “I linguaggi dei nuovi media”: “Quello che la grafica computerizzata ha (quasi) realizzato non è il realismo, ma più semplicemente il fotorealismo: ovvero la capacità di falsificare non già la nostra esperienza percettiva e materiale della realtà, ma solo la sua immagine fotografica.”3
Si potrebbe far notare inoltre come il cinema e il videogioco ormai convergono anche tecnologicamente, grazie al digitale. La computer graphic è usata sia nei videogiochi che nella post-produzione filmica. Ancora da un punto di vista puramente tecnico, i videogiochi sono dotati di veri e propri sceneggiatori, i quali si stanno sempre più perfezionando e stanno avendo riconoscimenti sempre più importanti4.
Un altro aspetto chiave è lo spettatore: “La condizione dello spettatore cinematografico è sempre più intrecciata con quella del giocatore: una grande produzione digitale tende a coinvolgere lo spettatore in una sessione unica (anche se non irripetibile) con il suo spettacolo-concerto, almeno da Guerre stellari in poi, anche attraverso tecniche audio come il dolby stereo surround, mentre il giocatore è letteralmente immerso in variopinte animazioni multimediali quasi sovrabbondanti rispetto a quanto richiesto dal gioco5”. E’ ciò che si può definire il fenomeno dell’inglobamento che caratterizza la società capitalistica (la “sensologia” di Perniola), che con il videogioco raggiunge la massima espressione. Videogioco come realtà virtuale di massa.
Il videogioco si immette anche in un altro fenomeno, quello della frammentazione, l’altra faccia del postmoderno. Videogiochi che sviluppano e completano film e film che completano videogiochi, questo vale anche per le altre pratiche di rappresentazione e viene definito narrazione “crossmediale”. Ma la frammentazione è anche identitaria: “(il videogioco) incarna la frammentazione schizofrenica dell’identità dell’individuo postmoderno, perennemente immerso nella nuova esperienza della molteplicità, della serialità, della proiezione, di sempre nuovi punti di vista.”6 La pratica videoludica è sicuramente la forma di rappresentazione della postmodernità.
Dai movimenti di macchina ai raccordi narrativi, dai modelli di personaggi alle storie, il cinema è stato un vero e proprio serbatoio che ha alimentato il mondo dei giochi interattivi, questo è ben visibile in un gioco come Resident Evil 4 (titolo originale Biohazard 4, pubblicato e sviluppato dalla nipponica Capcom).
Suddividerò l’analisi del gioco in cinque categorie: il genere, la storia, i personaggi, le ambientazioni e la forma.
Il Genere
Resident Evil 4 viene generalmente definito un gioco survival horror. Questo termine viene attribuito a tutti i videogiochi in cui un personaggio deve sopravvivere in una ambientazione horror. Il termine fu coniato nel 1996 in occasione della pubblicazione del primo capitolodella serie di Resident Evil, anche se le prime avvisaglie del genere si possono rintracciare in giochi come Alone in the Dark (1992) della francese Infogrames. Comunque è senza dubbio Resident Evil a dare una sferzata al neonato genere. Emerge sin dall'inizio una tangenza cinematografica. Il survival horror non può che richiamare uno dei generi filmici per eccellenza, l’horror. E’ vero che il genere horror ha origini letterarie, più precisamente da quella branca della fantascienza che viene chiamata fantahorror che si riscontra principalmente nel romanzo gotico inglese e nei romantici tedeschi, ma è poi il cinema, influenzato dalle stesse storie letterarie, ha creare l’immaginario visivo moderno dell’horror, facendo di questo genere uno dei principali di tutta la sua storia che ancora oggi sopravvive. Quando parlo di immaginario del genere horror intendo tutte quelle categorie che vengono in mente nel momento in cui si pensa alla parola horror: suspance, paura, lato oscuro, concetti come l’inspiegabile, la diversità, i quali vengono messe in pratica tramite creature mostruose, ambientazioni cupi e “strane”. La saga di Resident Evil contiene tutti gli elementi chiave di quella categoria: c’è suspance, costruita attraverso studiate posizioni e movimenti della MDP virtuale, l'ignoto, la natura aberrante delle creature, ambientazioni estremamente cupe, e così via.
La saga riprende da un particolare filone dell’horror sviluppatosi prevalentemente con il cinema: quello del living dead, i morti viventi, reso celebre da George A. Romero. L'intera saga di Resident Evil riprende esplicitamente la saga romeriana dei morti viventi7, con intuibili cambiamenti, molti dei quali dovuti da fattori specifici del medium, quali l'interattività. Altri riferimenti si possono trovare in tutto quel filone horror sviluppatosi alla metà degli anni Settanta inizio Ottanta e che spesso cade nello splatter horror, mi riferisco a film come La casa di Sam Raimi o Non aprite quella porta di Tobe Hooper.
Il videogioco prende in prestito le convenzioni essenziali di un genere per riproporle attraverso un linguaggio differente, interattivo, con un'altra storia, altri personaggi e altre ambientazioni. Resident Evil 4 applica perfettamente questa logica.
Bisogna però
fare una precisazione. Resident Evil 4 è un
videogioco diverso dagli altri della stessa saga, non solo sul piano della
giocabilità. Qui infatti troviamo tutti gli stilemi principali
del genere finora analizzato ma aggiornati e rinnovati. I
vecchi Resident Evil non facevano altro che mantenere quasi
invariate le ambientazioni, i nemici, i personaggi ecc. dell’horror
e riproporli in chiave giocabile, certo giochi bellissimi che hanno
portato avanti il linguaggio dei videogiochi, ma in grande parte
ancora fortemente legati ad un immaginario prettamente
cinematografico. Con questo nuovo episodio troviamo notevoli varianti rispetto ai canoni sopra descritti. Personaggi più
caratterizzati anche da un punto di vista psicologico, creature ibride (non più semplici zombie, ma "infetti"), miscuglio di
ambientazioni tra una Spagna medievale, residui di templi classici,
laboratori e strutture moderne. Si può forse dire quindi che ci troviamo di fronte a un videogioco che non emula semplicemente un
genere filmico, con tutte le differenze anche importanti che ci si
possono trovare, ma esso parte da questo genere e lo sviluppa, modificandolo nelle sue parti essenziali, più di quanto stia facendo
probabilmente la stessa cinematografia. Assistiamo dunque al tentativo di emancipazione dei videogiochi dal cinema. Di questo processo, Resident Evil 4 è un
esempio paradigmatico.
La storia
Abbiamo detto che Resident Evil 4 appartiene a una saga in evoluzione, quindi non stupisce che la storia sia inevitabilmente intrecciata con gli altri tre episodi (altro elemento della frammentarietà postmoderna). Inoltre bisogna aggiungere che il gioco, a differenza degli altri tre della serie, è suddiviso in 5 capitoli con altrettanti sottocapitoli. In particolare, mi soffermerò sulla storia vista attraverso il gioco di Leon. Infatti qui si presenta la possibilità, finita la storia di Leon, di continuare a giocare anche con l’altro personaggio, Ada; ciò comporta un approfondimento narrativo. Molti buchi "narrativi" vengono infatti "tappati" dalla vicenda di Ada. Questo testimonia la grande possibilità di intreccio narrativo, molto più articolato del cinema, che si presenta attraverso i videogiochi. Infatti questa divisione in parti, accantonamento e ripresa del flusso giocabile narrativo (grazie anche all’avvento delle memory card), avvicina l’esperire la storia del videogame a quello del libro.
Veniamo alla trama. Leon Scott Kennedy, il protagonista, riuscì a scappare da Rakoon City sei anni prima, durante il suo primo giorno di servizio, in cui avvenne un assedio da parte di zombie. Adesso Leon è un agente al servizio del governo degli Stati Uniti d’America. Gli viene incaricato di recuperare la figlia del presidente Ashley Graham, la quale è stata rapita e portata in un luogo sperduto della Spagna. La sua missione quindi è di riportare a casa la figlia del presidente. Apparentemente la trama è semplice, e ricorda i film di serie b americani, il classico complotto contro la nazione che viene sventato da un impavido e coraggioso eroe Ma con il progredire del gioco, le cose si complicano, rendendo il tutto molto più affascinante. All’arrivo in questo villaggio sperduto egli trova gli abitanti non solo ostili, ma estremamente strani, i quali, non appena lo vedono, cercano in tutti i modi di ucciderlo. Queste creature sembrano degli zombie ma allo stesso tempo non lo sono, essi infatti corrono, parlano, ed hanno anche intelligenza, visto che inventano sempre nuove trappole per incastrare Leon. Leon comunque scopre che Ashley è rinchiusa dentro la chiesa del villaggio, prima di salvarla deve però prendere la chiave della chiesa. Dopo aver battuto il “mostro del Lago” riesce a prendere la chiave e a liberare Ashley quindi a scappare con lei, nel frattempo ha fatto la conoscenza di Luis Sera, apparentemente un ricercatore, che lo aiuterà fornendogli delle informazioni su quanto stava realmente accadendo in quel luogo. Rincorsi da molti paesani infuriati i due arrivano al castello dominato dal piccolo Salazar. Nel capitolo del castello si incominciano a sciogliere i dubbi sulla stranezza di tutto ciò che accade. Man mano che si va avanti infatti si scopre che la stranezza di tutte quelle persone è dovuta a delle spore uscite mentre si compivano degli scavi in una miniera. Queste spore sono in realtà degli ovuli disseccati di un organismo parassita da lungo estinto, almeno in apparenza. Le spore, le quali vengono chiamate les plagas (le piaghe), entrano nel corpo, crescono, facendolo diventare un vero e proprio mostro. Les plagas sono state usate da Lord Saddlers (il cattivo del gioco), il quale infettato infetterà tutti gli abitanti del luogo, tra cui anche Leon e Ashley, per avere un controllo totale su tutti i soggetti infestati, creando così la setta degli illuminados.
Tra eventi di vario genere, tra cui l’incontro di mostri strani, la perdita e il ritrovo di Ashley (in cui per un po’ il giocatore muoverà la stessa Ashley), l’incontro con un altro personaggio, Ada Wong (già incontrata in Resident Evil 2), la morte tragica di Sera, il passaggio da ambientazioni medievali ad alcune quasi postmoderne, il rincorrere Salazar in ogni parte del castello e trabocchetti di tutti i tipi, Leon riuscirà a sconfiggere lo stesso Salazar, trasformato in un mostro aberrante. Ashley però viene rapita e portata su un’isola. Grazia all’aiuto di Ada, la donna fatale che appare e scompare sempre nei momenti più propizi, Leon raggiunge l’isola. Questa, caratterizzata da nuovi nemici militari e luoghi che sono un incrocio tra laboratori militari e residui classici, ha come nemico finale Lord Saddlers. Qui si aggiunge un nuovo personaggio Krauser, vecchio collega di Leon, il quale contagiato dalle plagas cerca di fare il doppio gioco con Lord Saddlers.
Inutile dire che Leon sconfiggerà sia Krauser, attraverso un bellissimo combattimento tra le rovine di un santuario, e, recuperata Ashley nei laboratori di ricerca per le plagas, dopo aver attraversato una base militare piena di nemici, particolare che rende il gioco quasi uno sparatutto, arriverà a scontrarsi con Lord Saddlers. Questi, trasformatosi in un mostro gigantesco e orribile (come tutti gli altri, fatto che a mio avviso rende il gioco un po’ ripetitivo), verrà infine sconfitto con l’aiuto sempre puntuale di Ada, la quale ruberà l’antidoto a Leon e scapperà con un elicottero. Con una fuga in motoscafo da gioco di corse acquatico, i due si salveranno mentre l’isola sparirà in una esplosione.
La trama è semplice, si costituisce su una linea relativamente facile: un agente segreto deve liberare la figlia del presidente degli Stati Uniti, la quale è stata rapita per un complotto contro gli Stati Uniti. Quasi tutto il cinema americano, soprattutto dagli anni ’80 in poi, si basa su trame del genere. Ma abbiamo visto come con l’andare del gioco le cose si compliclino: la scoperta delle manipolazioni genetiche, l’arrivo di personaggi nuovi con un loro spessore psicologico (anche se ancora non molto elaborato) che crea altri collegamenti e tutte le avventure e trabocchetti immaginabili. Ma ciò che caratterizza e che complica la dimensione narrativa sono i rimandi intertestuali agli altri giochi della serie. Giochi di questo genere hanno una struttura chiusa, anche se l’interazione dell’utente fa cambiare la durata e alcuna volte la stessa storia, la giocabilità è indirizzata in determinate coordinate le quali portano comunque ad una conclusione del gioco. Ciò che rende questo tipo di videogiochi (al contrario di giochi di ruolo online che si basano su una interazione infinita tra utenti) sempre aperti è la dimensione seriale, che il cinema ha grandemente ripreso dai videogiochi. La serie comporta infiniti rimandi tra i personaggi e le azioni e inevitabilmente, per avere una conoscenza globale delle vicissitudini, occorre giocare agli altri numeri della serie. Il cinema è irreversibilmente influenzato da questa struttura, tipica del videogioco. Nel caso particolare che si sta analizzando i rimandi narrativi sono dovuti principalmente a Leon e al personaggio di Ada, la quale lavorando per l’Umbrella cooperative (causa di tutti i guai dei precedenti Resident Evil), rimanda ad una infinità di elementi degli altri numeri della serie, per esempio Ada è un’agente dell’Umbrella la quale si vede in Resident Evil 2, ma uno dei protagonisti di quest’ultimo gioco è Clair sorella del protagonista del primo numero della serie insieme a Jill Valentie protagonista anche del terzo episodio e così via.
Nel gioco che si sta analizzando la trama è portata avanti da diversi fattori: primo fra tutti le cut scene. “Le cut scene – dette anche cinematics o in-game movies – sono sequenze animate non-interattive che incorniciano, inframmezzano o si alternano ai momenti di interazione vera e propria di un videogame”8, esse sono ovviamente ciò che avvicina di più il cinema ai videogiochi, essendo esse puramente rappresentative. Inoltre sono anche l’elemento fondamentale per portare avanti una narrazione, come dice anche Klevjer: “Le cut scene rappresentano uno strumento efficace per veicolare le componenti narrative: l’uso di codici audiovisuali (anziché puramente verbali) rende la fruizione più coinvolgente o, per lo meno, spettacolare.”9 Le cut scene si possono dividere in tre tipi, seguendo la distinzione fatta da Bittanti: cut scene con riprese dal vivo, cut scene animate, le quali si possono dividere in quelle in game e pre-rendered, e cut scene interattive. In Resident Evil 4 non sono presenti le cut scene del primo tipo, quelle con riprese dal vivo. Il gioco infatti fa grande uso in particolare delle cut scene pre-rendered (delle cut scene interattive parleremo più avanti): “Le cut scene pre-rendered, sono sequenze animate renderizzate dagli sviluppatori sfruttando tecniche come la computer graphics o la cel animation”.10 Questo tipo di cut scene ha sicuramente una grafica migliore ma ha dei limiti, infatti essendo composte in precedenza non prendono atto dei cambiamenti che avvengono durante il gioco, si presentano allora situazioni in cui il protagonista acquista un’arma nuova o un nuovo vestito e nell’animazione questi particolari spariscono. Ciò comporta uno stacco forte con l’immersione videoludica tramite un effetto di irrealtà dovuto alla troppa differenza tra la fase interattiva e quella rappresentazionale. Tutto questo crea una “dissonanza cognitiva” (Bittanti) nel giocatore. Quasi tutte le cut scene del gioco sono di questo tipo e costituiscono l’elemento principale nel portare avanti la narrazione. Alle cut scene in game, le quali “sono renderizzate in tempo reale dal motore di gioco e come tali non presentano differenze cosmetiche significative rispetto alle componenti procedurali”11, sono relegati piccoli compiti come il ritrovo di un oggetto.
Altro fattore narrativo sono sicuramente i pezzi di diari sparsi durante il gioco. Questi sono dei fogli che si trovano sporadicamente durante il percorso i quali, essendo composti in frammenti e avendo una forma da diario, costituiscono un approfondimento della trama. In particolar modo essi sono usati principalmente per la spiegazione delle parti di laboratorio o per le mutazioni genetiche, insomma per tutto ciò che riguarda la parte di trama sottostante agli eventi personali dei personaggi. Essi non aggiungono nulla di importante alla narrazione ma tendono ad approfondirla. Inoltre una volta trovati vengono presi dal giocatore e portati sempre dietro, sono analizzabili in qualsiasi momento.
Un ultimo elemento che mi sembra importante sottolineare, sempre da un punto di vista della narrazione, sono i collegamenti via radio prima con Hunnigum, poi con Salazar e Lor Saddlers. Questi hanno una utilità prettamente funzionale, informano cioè sugli eventuali pericoli e sulle azioni da fare, inoltre danno informazioni sullo stato di consapevolezza del personaggio: Leon informa regolarmente Hunnigum su ciò che ha scoperto.
La parte giocabile non ha valenze narrative anche se ovviamente i vari cambiamenti annunciati dalle cut scene, dai diari o dalle comunicazioni via radio, hanno poi un riscontro oggettivo nell’interattività. Per esempio mutazioni genetiche lette in precedenza su un diario si verificano man mano che si uccidono i nemici i quali si trasformano sempre di più, oppure miniere sentite nominare in una animazione si vediamo nel momento in cui ci arriviamo giocando e così via.
Prima di concludere bisogna però fare una distinzione tra narrazione cinematografica e videoludica: “In un contesto filmico, la sceneggiatura rappresenta un punto di partenza irrinunciabile, mentre nel caso del videogame, la cosiddetta “storia” e’ spesso un’appendice, un “extra” che si aggiunge in corsa. In numerosi videogiochi, l’elemento narrativo viene cioè “appiccicato” in modo piu’ o meno efficace a una nuova tecnologia, a un nuovo engine, a nuovo un "effetto speciale"12. Un film si basa su una storia, un videogioco si basa su una interattività che può assolutamente prescindere da qualsiasi tipo di dimensione narrativa. Si tratta di una differenza fondamentale che non fa altro che attestare quanto sia stato grande l’influsso del cinema in videogiochi come Resident Evil 4.
I personaggi
Vediamo ora di analizzare i personaggi del gioco. Leon (il protagonista), Ashley (la coprotagonista), Ada (deuteragonista) e Luis Sera (altro deuteragonista), sono i personaggi principali inquadrabili sotto l’etichetta “buoni”. Poi ci sono i “cattivi”: Lord Saddlers (antagonista), Salazar (secondo antagonista), Bitores Mendez capo del villaggio (cattivo secondario), John Krauser, ex marine e ex collega di Leon, e gli Illuminados, i nemici più comuni, dai contadini ai militari. Questi i personaggi che svolgono un ruolo principale all’interno del gioco. Si possono aggiungere Hunningum, il contatto via radio, Mike, l’uomo nell’elicottero verso la fine del gioco, e poi tutti gli altri nemici, come il mostro del lago ecc.
Lo sviluppo sempre più veloce dei videogiochi ha portato anche ad uno sviluppo dei personaggi. Essi infatti hanno assunto sempre più spessore, particolare che li fa staccare dall’ambito puramente funzionale del gioco. I personaggi si sono dotati man mano di atteggiamenti, punti di vista sulle cose, espressioni, che li hanno denotati caratterialmente e psicologicamente. Siamo comunque ancora ad una fase abbastanza primitiva, essi sono ancora estremamente legati alla funzionalità del gioco, in più sono ancora abbastanza banali, rimandano spesso a piatti stereotipi tipici del cinema, e, per finire, la caratterizzazione di solito riguarda solo i personaggi principali. Resident Evil 4 ha dei buoni personaggi ma forse ancora troppo legati ad un immaginario cinematografico, il discorso fatto prima a proposito del genere credo non si possa applicare ai personaggi.
Leon è il protagonista del gioco. E’ bello e impavido, ironico con i nemici, esperto nel tirare e così via, rimanda possiamo dire alla più comune figura di eroe che conosciamo. Ma anche in questo caso ci può essere d’aiuto la serialità. Se si pensa alla prima apparizione di Leon, in Resident Evil 2, in cui egli era un novellino, appena uscito dall’accademia di polizia, idealista, il personaggio acquista una rotondità maggiore. Si può dire che il suo sviluppo, attraverso i vari numeri della serie, porti ad un accrescimento sia di informazioni su di esso sia di un maggiore valore affettivo che trascende il piatto stereotipo. Il cambiamento del personaggio nel corso dei giochi, anche se si inquadra dentro etichette, porta ad un superamento di queste in quanto il cambiamento crea più spessore sia caratteriale che psicologico.
Per quanto riguarda gli altri “attanti” le cose a mio avviso non stanno così. Ada rimane la stessa famme fatale del gioco precedente. In questo caso il personaggio non subisce cambiamenti evidenti, inquadra un tipico cliché: la femme fatale che appare sempre nei momenti più propizi, ironica, intelligente, incontrollabile, bella, fascinosa e doppiogiochista.
Ashley è la tipica bambina viziata, figlia del presidente degli Stati Uniti, abbastanza odiosa all’inizio del gioco, anche se man mano che si va avanti assume toni più pacati.
Luis Sera è un personaggio interessante, anche lui bello e ironico, (cappelli lunghi e vestiario stile cow boy moderno, particolare che stona forse troppo con il suo lavoro di ricercatore) appare e scompare durante il gioco. Interessante è l’aura di mistero che lo circonda in quanto la maggior parte delle informazioni su di lui provengono non da lui stesso ma da altre fonti.
Tra i “cattivi” trovo singolare Salazar. Un nanerottolo cattivo e viziato. E’ vestito da principe settecentesco e si comporta come un bambino. Originale l’incrocio tra antico e moderno denotato anche dal vestiario di Salazar.
Lord Saddlers è il tipico cattivone dei videogiochi. Incappucciato, vestito con una lunga tunica viola, ha per bastone l’estensione, dovuta dalle plagas, del proprio corpo. E’ in maniera impressionante somigliante all’antagonista di Guerre Stellari.
I personaggi più innovativi sono, a mio avviso, gli Illuminados, in particolar modo i contadini. Si staccano da qualsiasi Resident Evil precedente, essendo un incrocio tra posseduti e zombie. Essi corrono, parlano, inventano trucchetti sempre nuovi. Inoltre appena li si incontra fanno dei semplici lavori da contadini, come se fosse tutto normale, ma poi spiazzano nel momento in cui vedono Leon e gli corrono addosso urlando. Sono inoltre difficilmente inquadrabili entro qualsiasi stereotipo cinematografico.
John Krauser è il marine vecchio compagno di Leon, collabora con Ada anche se i due non si amano troppo. Due saranno i combattimenti contro Krauser, probabilmente i più belli del gioco, il primo totalmente in cut scene interattiva, il secondo nei resti di un santuario tra trabocchetti e tattiche da inventare.
Piccolo accenno vorrei fare al personaggio di Mike. Questi appare verso la fine del gioco in elicottero per aiutare Leon ad uccidere molti nemici. Non si vede mai e ha un arco di esistenza breve, verrà ucciso molto presto da un bazuca. Ciò che lo rende interessante è lo scambio di battute tra i due personaggi, capiamo che sono vecchi amici e che c’è un certo valore affettivo tra i due. Tutto ciò ci fa affezionare al personaggio di Mike e, anche se egli non appare, al momento della sua morte si prova un certo dispiacere.
Il setting
Di particolare rilievo sono le ambientazioni. Trovo che in questo gioco esse siano ben elaborate ed originali. Riescono cioè a staccarsi dalle più classiche ambientazioni del genere arrivando addirittura ad aggiungere delle note innovative, probabilmente più della stessa cinematografia. L’elemento caratterizzante è il continuo miscuglio, soprattutto di tempi, intesi come ere, diverse. Questo è particolarmente visibile nella terza parte del gioco, quella dell’isola.
Il gioco è ambientato in uno sperduto posto della Spagna. All’arrivo del protagonista ci troviamo catapultati in un’altra epoca. Villaggi arcaici costituiti da capanne in legno, pozzi, fienili, contadini vestiti rozzamente in uno stile medioevale. Ci sembra insomma di essere in un mondo antico, sperduto, perso nel tempo. Lo stesso villaggio è costituito da una piazza principale, in cui impera la chiesa, e su cui si evolve tutto il resto dell’abitato, una struttura tipica del villaggio medioevale. Quasi tutta la prima parte sarà influenzata da un’ambientazione del genere. Si aggiungano poi le atmosfere cupe, dominate da un cielo nuvoloso e dalla pioggia. Largo uso di spazi aperti (diverso dagli altri numeri della serie i quali preferivano un uso degli spazi chiusi). Sempre in questa prima parte assistiamo a degli elementi che ci discostano da quest’aria di dispersione nel tempo. Vediamo infatti che in alcuni luoghi si trovano dei macchinari estremamente tecnologici, funivie, centraline elettriche, spesso ubicate accanto agli stessi edifici antichi. Questo comporta uno straniamento dovuto dall’impossibilità di inquadrare l’epoca storica: ci troviamo in un presente differito. Ci troviamo in quella che si potrebbe chiamare “atmosfera da Medioevo”. L’aura di mistero è dovuta anche dal fatto che in tutto l’arco del gioco non ci viene mai spiegato il motivo per cui i contadini vivano in questo modo.
La seconda parte è interamente giocata all’interno del castello di Salazar. Il castello, da tipico paesaggio medievale, si erge sopra la collina di fronte al villaggio. Gli abitanti del luogo sono ancora delle creature particolari vestite con tuniche lunghe fino ai piedi e sono incappucciati, fatto che crea una clima ancora più cupo e misterioso. Anche il castello soggiace alla stessa logica del miscuglio, ma in maniera diversa. Qui non siamo più di fronte a quella “atmosfera da Medioevo”, ma invece abbiamo dei veri e propri stili di epoche, riconoscibili, accatastati l’uno contro l’altro. Il castello è tipicamente medievale, all’interno si passa da stanze in stile barocco a altre in stile rococò, bellissime stanze gotiche, i dipinti alla parete sono ben riconoscibili, la “Primavera” di Botticelli (tra il 1477 e il 1490), la “Scuola di Atene” di Raffaello (tra il 1509 e il 1511), ci sono anche dipinti in tipico stile manierista, per non parlare dei vasi e dei mobili. Lo stesso Salazar è vestito in stile Settecentesco. Nelle fogne invece ci sono laboratori estremamente tecnologici. Le epoche accostate sono molte ma sono tutte ben definibili, ogni stanza, anche se composta da più generi, è comunque inquadrabile in un’ epoca. Il referente quindi è comunque verificabile.
Non accade questo nella terza parte, quella dell’isola, la quale è dominata da un completo intrecciarsi di stili ed epoche differenti negli stessi posti, c’è un perdita completa del referente. Non si possono più distinguere le ere e le epoche in quanto sono totalmente miscelate tra di loro, fatto accentuato dai i nemici sono ora dei militari.
Si potrebbe quasi dire, banalizzando, che nel gioco si passa attraverso le tre categorie che caratterizzano l’analisi storico-culturale: realismo, moderno e postmoderno. La prima parte caratterizzata da un periodo più o meno riconoscibile, la seconda da un incrocio di stili ed epoche diverse ma ben definite, attraverso anche opere molto importanti per la storia dell’arte, e la terza in cui ormai domina una estetica dell’ibrido e una perdita del referente, caratteristiche tipiche della postmodernità.
La forma
In questa parte si analizzeranno tutti quegli elementi che caratterizzano la forma, le strategie estetiche utilizzate nel gioco, specificando sull’influenza del cinema.
Partiamo dall’orientamento. Nel cinema esso è dato dal posizionamento della MDP in uno spazio deciso dal regista, nei videogiochi l’orientamento viene determinato dal movimento del personaggio nello spazio, movimento dovuto all’interazione: “Lo spettatore in un film è come il passeggero di un’ automobile: osserva il “panorama” in modo piuttosto distratto perché non è costretto ad orientarsi in esso. Il giocatore di videogame, al contrario, è a tutti gli effetti il pilota del veicolo e se non riesce a costruirsi una rappresentazione mentale sufficientemente esauriente dell’ambiente che “lo” circonda, rischia di perdersi o comunque di procedere in modo incerto.”13 L’orientamento nei videogiochi soggiace quindi a logiche di funzionalità.
Date queste differenze fondamentali andiamo più nello specifico. I videogiochi si sono spesso dotati di tecniche profondamente cinematografiche per creare emozioni di vario genere (suspence, paura, attesa e così via), in particolar modo giochi come Resident Evil, che proprio per questi motivi sono stati chiamati “videogiochi cinematografici”. Come dimostra eccellentemente Fraschini, analizzando una sequenza di Resident Evil 2, il giocatore diventa coregista in quanto fa cambiare la posizione della MDP virtuale in base agli spostamenti prodotti dal movimento del personaggio. Inoltre la posizione della MDP è studiata, prendendo strategie tipiche del genere horror, per creare un effetto di suspance, c’è quindi un utilizzo consapevole per creare effetti di angoscia o terrore. Tutti i Resident Evil fino al terzo numero sono costruiti in modo determinato: i personaggi agiscono all’interno di “inquadrature” fisse. La ripresa è fissa, lo spazio è dato, e il personaggio agisce all’interno di questo spazio. In Resident Evil 4 ci sono dei cambiamenti essenziali, che tra l’altro hanno fatto infuriare molti di fan. Nel gioco il personaggio è inquadrato da dietro, sotto la spalla, e la MDP segue tutti i movimenti del personaggio, questa tipologia di videogame viene definita gioco in “pseudo soggettiva”. Ci allontaniamo quindi dai videogame cinematografici, per avvicinarci a giochi improntati più sull’azione del tipo di Tomb Rider. In giochi di questo genere l’orientamento non pone troppi problemi, in quanto si ha il controllo sia del personaggio che della MDP. E’ il giocatore che decide dove inquadrare, diventando così una specie di “regista improvvisante”. Certo il gioco ha un sistema di controllo in character relative, riferito al personaggio (i comandi rispondono ai movimenti del personaggio, diverso dallo screen relative), quindi a muoversi è il personaggio, ma la MDP lo segue, in ogni movimento che egli fa. Per riuscire ad orientarsi e vedere per esempio cosa c’è alla destra dell’eroe ci si deve girare: si girerà allora anche la MDP14. Tra l’altro è possibile fare dei piccoli spostamenti della MDP per avere una visuale maggiore, nei momenti in cui si mira contro un nemico si effettua un veloce zoom verso l’arma per avere una migliore visibilità e accelerare il gioco, il centro dell’inquadratura è sempre l’arma. Nella parte giocabile vengono così perse molte strategie utilizzate dai precedenti numeri della serie, strategie, come abbiamo detto, totalmente riprese dal cinema. Vengono a perdersi quindi quegli effetti di paura e terrore tipici degli altri capitoli. Il gioco si fa allora molto più dinamico e veloce: il coltello può essere estratto in qualsiasi momento, diventa così un’ arma veloce ed efficace, si possono dare calci e fare mosse particolari, i tempi di caricamento sono ridotti al minimo, gli stessi indovinelli vengono molto facilitati, anche questo per non perdere la dinamicità del gioco. Gli altri capitoli erano per lo più basati su fasi di esplorazione e risoluzioni di enigmi, inoltre la scarsa disponibilità di munizioni e cure mediche rendeva il gioco molto più “riflessivo”.
Le cut scene, per ovvi motivi, sono ciò che avvicina di più il cinema ai videogiochi. Essendo esclusivamente rappresentative esse portano avanti la storia, attraverso un linguaggio totalmente ripreso dal cinema. Esse nascono negli anni Ottanta con lo sviluppo dei videogiochi sia da un punto di vista grafico che narrativo. Più i videogiochi miglioravano più il rapporto con il cinema si intensificava. Così le cut scene hanno man mano utilizzato le strategie spettacolari del cinema, in particolar modo del cinema hollywoodiano.
Per avere un quadro più preciso di come nelle cut scene si usi un linguaggio cinematografico analizzerò una sequenza del gioco, in particolare quella relativa al primo incontro di Leon con Lord Saddlers nella chiesa del villaggio. La scena ha una durata di poco più di due minuti, una durata media per le animazioni. Si inizia con un campo largo dall’alto spostato verso destra che inquadra i due personaggi, Leon e Ashley, i quali entrano correndo da destra in fondo alla sala. La musica cambia, si fa intensa e misteriosa. La MDP virtuale scende, come un dolly, fino a far intravedere Lord Saddlers di spalle, il quale sta entrando anch’egli da destra ma dalla parte opposta dei due protagonisti. Senza che il dolly a scendere si blocchi la scena viene tagliata (questo per dare più movimento) facendo vedere il controcampo. Adesso Leon è in campo medio di spalle e in fondo c’è Lord Saddlers, anche questa volta l’inq. non è simmetrica centrale ma è spostata verso destra. Leon chiede a Saddlers chi sia mentre questi risponde c’è un movimento dal basso verso l’alto sulla sua figura e il movimento si ferma sul volto. Si instaura così un dialogo tra i due e quindi una serie di campi e controcampi, prima su Leon e Ashley, poi su Saddlers. Dopo un carrello da sinistra verso destra dietro Saddlers, carrello che dà emotività alla scena, egli comunica ai due che ha infettato Ashley. Controcampo sulla faccia stupita di Ashley e quindi una breve sequenza del passato, dell’infettamento di Ashley. Questa sequenza è molto breve ed è composta da tre inq. veloci, la prima dall’alto di Ashley priva di sensi e legata, la seconda di Saddlers che sta per iniettare il veleno e la terza di Ashley di profilo che viene infettata. Tre scene legate tra loro con un montaggio veloce in cui ad ogni stacco si sente un rumore che intensifica l’azione e enfatizza lo stacco. Si riprende su Ashley come se fosse lei a ricordare, poi la MDP si sposta su Leon stupito. Si prosegue con una inq. dall’alto apparentemente ferma ma che in realtà produce lievi movimenti. Poi l’azione prosegue con il dialogo e quindi con una serie di campi e controcampi. Qui è Saddlers che porta avanti la scena in quanto è lui a spiegare l’accadimento. La MDP è pronta a sottolineare, enfatizzare, l’azione. Vediamo infatti che i controcampi su Saddlers non sono mai uguali: prima è frontale, poi di lato ed infine da lontano con uno zoom lento verso il viso. Quelli dei due protagonisti invece variano solo lievemente in quanto hanno una funzione principalmente di ascolto, anche se reagiscono con stupore alle parole del cattivo. Si arriva così ad un campo medio su Leon e Ashley con dietro ben visibile la porta, questo perché tra poco arriveranno due nemici incappucciati. Ora l’azione si fa molto più veloce. Ecco che i due aprono velocemente la porta e una veloce inquadratura li fa vedere di lato mentre prendono la mira con delle balestre infuocate. Veloce primo piano sulla faccia di Saddlers che sorride, poi su Leon che si gira verso Ashley, particolare sulla mano di Leon che prende quella di Ashley, poi la fuga. Inq. dalle balestre dei due nemici e dalle frecce che partono e si vanno ad infilzare nella colonna. Poi si vede la finestra, da fuori la chiesa, e Ashley e Leon che rompono la finestra saltando fuori. L’azione continua altri trenta secondi con i due che si scambiano brevi battute e scappano.
Tale animazione coagula sia un dialogo apparentemente statico, ma denso di emozioni e spiegazioni, sia una azione dinamica di pericolo e fuga. Il dialogo è apparentemente statico ma abbiamo visto come in questo caso a dare vera enfasi e importanza alle parole di Saddlers sia un linguaggio prettamente cinematografico ben studiato. I lievi movimenti o lo spostamento della MDP virtuale sui campi e controcampi nascondono una conoscenza e una ricerca degli effetti della forma cinematografica. Si veda anche l’improvvisa dinamizzazione della scena nel momento del pericolo. Esempio importante è l’introduzione esplicativa del ricordo del passato durante la conversazione. E’ una scena corta che non aggiunge nulla a quello che sta dicendo Saddlers, ma serve a dare maggiore enfasi, a farci entrare ancora di più nella tragedia, quella appunto dell’infettamento di Ashley. Inoltre si noti come l’uso della musica è studiato apposta per rendere misterioso il tutto, in quanto il ruolo di questo tratto è quello di svelare dei misteri importanti prima dell’inizio di un’altra fase di gioco. A differenza della parte giocabile in cui, la musica è un semplice sottofondo o svolge delle piccole funzioni come accentuare una scena di pericolo e così via, nelle animazioni invece essa assume un rilievo maggiore.
Altro elemento che differenzia questo capitolo è la ripresa consapevole di vari “generi” dal mondo dei videogame. Vengono usati diversi criteri di gioco presi da tipologie di videogame diversi: sparare da una superficie in movimento ai nemici appostati, tipico del gioco di precisione, scontri con i nemici in interactive cut scene (queste non erano presenti negli altri numeri della serie, hanno anche la funzione di dinamizzare la giocabilità), enigmi da risolvere, veri e propri indovinelli da videogioco di ragionamento (caratteristica presente anche negli altri Resident Evil), la corsa in motoscafo finale da tipico gioco di corse e, per concludere, si possono notare delle vere e proprie stanze, staccate dal resto del gioco, in cui è possibile praticare alcuni esercizi, come il tiro a segno, guadagnando così punti in più. C’è un superamento quindi dei confini, un superamento consapevole che porta a nuove forme di videogiochi, sempre più elaborate. Uno sconfinamento quindi che è l’ennesima testimonianza dell’evidente crescita del mondo dei videogiochi, una crescita importante in quanto testimonia il rischio che si corre a non prendere sul serio il cambiamento che questa nuova forma di rappresentazione (anche se è riduttivo puntare l’accento solo sulla rappresentazione) sta portando.
Bibliografia essenziale
Balzola Andrea e Anna Maria Monteverdi, “Le arti multimediali digitali. Storia, tecniche, linguaggi, etiche ed estetiche del nuovo millennio”, Garzanti, 2007
Bittanti, Matteo, “Il divertimento è elettronico, addio sogni di celluloide”, in «Il sole 24 Ore», febbraio 2008.
Bittanti, Matteo, “Scrivere videogame: il difficile equilibrio tra codice e storia”, Schermi Interattivi.
Bittanti, Matteo, “Cut scene: il cinema nei videogame”, Schermi interattivi.
Canova, Gianni “L’alieno e il pipistrello. La crisi della forma nel cinema contemporaneo”, Bompiani, 2000
Daney, Serge, “Il cinema e oltre. Diari 1988- 1991”, Il Castoro, 1997
Fraschini, Bruno, “Le affinità elettive”, 2004. Disponibile sul sito Project Ring
Girlanda, Elio, “il cinema digitale. Teorie, autori, opere”, DinoAudino, 2006
Manovich, Lev, “Il Linguaggi dei nuovi media”, Milano, Olivares, 2002
Menduni, Enrico,“I media digitali”, Roma-Bari, Laterza, 2007
Note
1 Matteo Bittanti, “il divertimento è elettronico, addio sogni di celluloide”, in « Il sole 24 Ore », febbraio 2008. Larticolo è disponibile online alla pagina http://www.videoludica.com/news/gamestudies/news-metaverse-u-sul-sole-24-ore?lang=it
2 Serge Daney, “Il cinema e oltre. Diari 1988- 1991”, Il Castoro, 1997
3 Lev Manovich, “Il Linguaggi dei nuovi media”, Milano, Olivares, 2002.
4 In questo caso rimando all’articolo di Matteo Bittanti, “Scrivere videogame: il difficile equilibrio tra codice e storia”, reperibile alla pagina http://mbf.blogs.com/schermiinterattivi/2008/04/scrivere-videog.html
5 Enrico Menduni, “I media digitali”, Roma-Bari, Laterza, 2007.
6 Bruno Fraschini, “Le affinità elettive”, 2004. Disponibile sul sito www.project-ring.com
7 Oltre alla presenza degli zombie si guardi anche alla critica alla società dei consumi del secondo film della saga di Romero e all’impersonificazione del cattivo del videogioco con una multinazionale, anche se nel videogioco c’è una forte componente americanista.
8 Matteo Bittanti, “Cut scene: il cinema nei videogame”, reperibile qui.
9 Ibid.
10 Ibid
11 Ibid
12 Matteo Bittanti, “ scrivere videogame: il difficile equilibrio tra codice e storia”, reperibile qui.
13 Bruno Fraschini, “Le affinità elettive” op cit.
14 E’ diverso dai giochi in soggettiva, come Doom, perché qui la MDP è il personaggio quindi il giocatore muove solamente il personaggio, non c’è una vera differenza tra MDP e avatar.
L'autore
Valentino Catricala' nasce a Roma il 9/11/1983. Da sempre interessato al cinema si inscrive al Dams di Roma 3. Si laurea alla laurea triennale, con il prof. Marco Maria Gazzano, con una tesi riguardante il rapporto tra il cinema e le nuove tecnologie dal titolo L'estetica contemporanea: il cinema tra video e digitale. Dopo la laurea i suoi interessi si sono orientati verso il rapporto tra ıl cinema e le nuove tecnologie (tra cui i suoi rapporti con i videogiochi), per questo motivo fonda l`organizzazione Outlook (www.outl00k.net), la quale si pone come obiettivo principale la divulgazione delle opere di giovani autori sperimentali. Attualmente sta conseguendo la laurea specialistica in Studi storici, critici e teorici sul cinema e gli audiovisivi, sempre al Dams di Roma 3.
Commenti