Qualche settimana fa, ho succintamente descritto uno dei panel piu’ interessanti della Game Developer Conference 2008 di San Francisco, interamente dedicato alla funzione della sceneggiatura all’interno delle dinamiche produttive dei videogame. Non a caso, il tema della “scrittura” videoludica sta acquistando una sempre maggiore rilevanza e secondo alcuni, il 2008 sara’ ricordato come l’anno della svolta. Qualche mese fa, infatti, la Writers Guild of America – il sindacato che rappresenta gli sceneggiatori cinematografici e televisivi – ha introdotto per la prima volta la categoria per la migliore sceneggiatura di un videogame da premiare nel corso della sua annuale cerimonia (anche se le scelte hanno premiato la politica rispetto al merito, ma questa e' un'altra storia). L’inedita attenzione per un aspetto del videogame fin troppo spesso trascurato ci permette, tra le altre cose, di portare in primo piano la differenza significativa che esiste tra questo medium e il cinema, al quale viene spesso, erroneamente associato - il leit motiv di Schermi interattivi. In un contesto filmico, la sceneggiatura rappresenta un punto di partenza irrinunciabile, mentre nel caso del videogame, la cosiddetta “storia” e’ spesso un’appendice, un “extra” che si aggiunge in corsa. In numerosi videogiochi, l’elemento narrativo viene cioe’ “appiccicato” in modo piu’ o meno efficace a una nuova tecnologia, a un nuovo engine, a nuovo un "effetto speciale".
Un esempio recente e’ Timeshift di Saber Interactive. Sotto molti aspetti, questo sparatutto in soggettiva rappresenta un’evoluzione di F.E.A.R.: in entrambi i titoli, l’utente, il classico eroe super-omistico puo’ manipolare il tempo a proprio vantaggio. Nell’FPS di Monolith, l’utente puo’ rallentare lo scorrere del tempo ludico, mentre in Timeshift, l’utente puo’ addirittura fermarlo o riavvolgerlo, come se si trattasse di un nastro di una videocassetta. Ora, in un film o in un fumetto, una delle priorita’ degli autori sarebbe quella di giustificare l’introduzione di questa anomalia all’interno del mondo finzionale. Si pensi all’importanza della mitopoiesi di Spider-Man. Per converso, in un videogame – e i due titoli citati rappresentano due esempi paradigmatici – non esiste una vera e propria urgenza esplicativa: i designer investono la maggior parte del loro tempo – e del loro budget – ad assicurarsi che l’utente possa applicare la nuova tecnica in modo efficace, delegando alle cut scenes il compito di fornire informazioni contestuali.
Facciamo un altro esempio: in The Matrix, l’uso del bullet-time e’ perfettamente integrato alla storia. In un videogame, il bullet-time (o il suo equivalente) acquista una rilevanza assoluta, di gran lunga superiore a quella di ogni possibile implicazione narrativa. Ergo, in un videogame, la scrittura della cosiddetta “storia” e’ subordinata alla scrittura del codice. Negli ultimi anni, tuttavia, per ovviare ad una sempre piu’ stucchevole uniformita’ estetica e funzionale, numerosi designer stanno tentando di conciliare efficacemente l’istanza tecnica con quella narrativa, premesso che il termine narrazione nei videogame ha un significato radicalmente diverso rispetto alla narrazione nei media non interattivi. Qui infatti l’utente svolge il ruolo di co-creatore del testo, anziche’ di mero destinatario di una narrazione pre-costituita. Ergo, il desogner deve conciliare tensioni ed esigenze differenti. La stesura dei dialoghi (e degli innumerevoli suoni onomatopeici che caratterizzano la fruzione, come “Ouch!” o “Aaargh!”) e’ delegata allo sceneggiatore.
Le due funzioni chiave di uno sceneggiatore videoludico prevedono la stesura dei dialoghi interattivi e la gestione del design narrativo (ovvero la storia e gli elementi narrativi contestuali). Negli ultimi anni, gli sceneggiatori si stanno letteralmente sbizzarrendo. Haze, lo sparatutto sviluppato da Free Radical Studios, prevede una sceneggiatura di oltre mille pagine. Ma gia’ PlanetScape Torment era caratterizzato da oltre 800.000 parole. Mass Effect di Bioware contiene l’equivalente di quindici sceneggiature cinematografiche pari a ventimila linee di dialoghi. Stando a Peter Molyneux, Fable 2 dovrebbe includere 250.000 (!) linee di dialoghi. Come si puo’ facilmente intuire, l’incremento e’ esponenziale - ma dato che la nozione stessa di sceneggiatura (come molte altre: camera, montaggio, etc.) ha un significato differente nei contesti filmici e ludici - queste "comparazioni" possono risultare equivoche.
Un dato di fatto e' che la qualita’ della "narrazione" sta aumentando considerevolmente. Il miglior titolo del 2007, Bioshock, ha stabilito un nuovo paradigma per quanto concerne la nozione stessa di “scrittura” videoludica, introducendo temi complessi quali la nozione di “oggettivismo” - mutuata da Ayn Rand - e recuperando strategie diegetiche gia’ sperimentate con successo da titoli come System Shock (mi riferisco agli audio-log). Lo stesso Portal ha fatto un uso tutt’altro che banale della poesia di Emily Dickinson. Too Human promette una narrazione avvincente, frutto di un attento (e prolungato) lavoro di pianificazione. In breve, la scrittura sta diventando sempre piu’ importante anche perche’ l’industria dell’intrattenimento stesso si sta evolvendo: la necessita’di integrare efficacemente proprieta’ intellettuali differenti e’ fondamentale per creare mondi finzionali coerenti.
Si pensi a fenomeni transmediali come Star Wars o le serie di Tom Clancy, che si sviluppano su media differenti (cinema, videogiochi, narrativa, televisione, fumetti etc.). Il tema e' affascinante e merita un saggio ad hoc. Per il momento: come avvicinarsi al mondo della scrittura videoludica? Il primo passo e’ reperire un buon manuale. Considerando che il game design in Italia e’ fortemente sottosviluppato, non deve sorprendere che le risorse bibliografiche siano esclusivamente in inglese. Qualche esempio Writing for Video Games di Steve Ince (2006) (che abbiamo recensito qualche mese fa su videoludica), Writing for Animation, Comics, and Games (2007) di Marx Christy, Game Writing: Narrative Skills for Videogames (2006) di Chris Bateman, The Ultimate Guide to Video Game Writing and Design (2008) di Flint Dille and John Zuur Platten, Game Writing Handbook (2007) di Rafael Chandler.
In secondo luogo, occorre giocare prestando particolare attenzione alle strategie narrative usate dai designer: adottare, cioe’, un approccio critico al testo, focalizzando la propria attenzione sul suo funzionamento in quanto dispositivo diegetico rispetto alla sua natura di dispositivo ricreativo.
Link: Racconto e gameplay: separati alla nascita?: Resoconto dalla GDC
E' un argomento molto caldo questo, e spero che avrai modo di ritornarci più volte in futuro.
Sono d'accordissimo con gli spunti di partenza: mi è capitato più di una volta (parlando di cinema) di indicare l'esempio del bullet time in Matrix paragonandolo alla scena di lotta tra Neo e i mille agenti Smith di Matrix Reloaded, per per rimarcare la differenza tra "effetto speciale che supporta la narrazione (addirittura un momento epifanico in questo caso)" ed "effetto speciale con la storia intorno".
Esiste quindi anche nei film (spettacolari, cinetici) la subordinazione della trama rispetto a quello che accade sullo schermo.
In un certo senso, la cosiddetta "attrazione mostrativa" del cinema primitivo non è mai morta, e questo non è un male, ma andrebbe riconosciuto. Certo nei videogiochi viene molto più comodo pensare prima alle features/effetti speciali da inserire e poi "giustificarle" con una storiella di contorno (per i motivi che hai elencato).
Credo che insomma siano gli stessi autori di cinema/videogiochi che dovrebbero maggiormente "focalizzare la propria attenzione" sul "dispositivo diegetico" al "dispositivo ricreativo".
E tra i consigli che dai non potrei fare altro che aggiungere di rivedere la storia della narrazione all'interno del (multi)medium: dall'interactive fiction, alle avventure grafiche, agli RPG, fino a Shenmue e oltre.
La sfida di oggi non è quella di "inserire una bella trama in un videogioco", ma di renderla dinamica attraverso le meccaniche del videogioco d'azione moderno.
Se hai il tempo e la voglia di leggere questo mio intervento semi-provocatorio su Ars Ludica, consideralo come una risposta meglio argomentata al tuo articolo rispetto a questo lungo commento: http://arsludica.org/2008/03/30/interactive-fiction-strikes-back/
Scritto da: Mario Morandi | 22/04/08 a 12:27